I tigrotti spioni
Si fa l’abitudine a tutto, poi la cosa è ridicola e drammatica al tempo stesso, non m’impressiona più di tanto, quindi, la riconferma dell’essere stato spiato da quelli che per questo erano più che lautamente pagati da Telecom Italia. Ma ci sono tre novità, rilevantissime e pericolose, che segnalo ai lettori, ma anche a Telecom Italia.
Già, perché fin qui c’è arrivato addosso di tutto, ma mai una risposta, mai un chiarimento, che sarebbe dovuto a noi che abbiamo pubblicato verità non smentibili, al mercato ed alle autorità di controllo.
La prima “novità”, si fa per dire, è la seguente: nell’ottobre scorso il presidente di Telecom Italia, Guido Rossi, ha inviato una diffida a tutti i giornali italiani, chiedendo, in modo perentorio, che il nome della società da lui presieduta non fosse associato ad attività illecite d’intercettazione, che non ci sarebbero mai state. Avvocato Rossi, io sono stato intercettato. Con me hanno intercettato Fausto Carioti, che da giornalista seguiva alcune faccende di Telecom Italia. Risulterebbe che nella cassaforte di Andrea Pompili, coordinatore, sempre in Telecom, del Tiger Team (ma le pare normale?), si siano trovati 4 cd contenenti non solo la mia posta elettronica, ma le videate dello schermo del mio computer. Quelle sono intercettazioni, intromissioni nelle mie comunicazioni elettroniche, che viaggiano sui cavi telefonici. Avvocato, non credo lei possa far finta di niente. Non foss’altro perché ci ha diffidati dallo scrivere quel che ho appena scritto. Mi muoverò seguendo le vie legali, conto d’incontrarla nel medesimo cammino e nella stessa direzione.
La seconda “novità”, sempre a quanto leggo in giro, è che sì ci sono stati attacchi informatici al Corriere della Sera, ma almeno quelli non sono andati a buon (nel senso di cattivo) fine, e Massimo Mucchetti ha potuto continuare a fare il suo ottimo lavoro, cosa che contiamo continui a fare, ma quella, a ben vedere, era una specie di faida in famiglia e, sebbene il diritto neghi la possibilità d’intercettarsi anche fra coniugi gelosi e ridotti ad origliatori, se ne comprendono le dinamiche alla luce dello scontro su quale dei proprietari potesse avere maggiore influenza sul giornale. Al contrario, altri sono stati presi di mira sol perché facevano del giornalismo, senza preventiva genuflessione a chi ha la pretesa di sentirsi potente e che o direttamente possiede i giornali o su di essi esercita un’imponente influenza con i soldi della pubblicità. E’ una cosa molto grave, che riguarda direttamente i pilastri della libertà e della democrazia. Per questo mi pare assordante il silenzio della corporazione giornalistica, così pronta a mostrarsi severa quando si sente coperta dagli interessi superiori, ma così silente quando sotto attacco finiscono quelli che gli interessi superiori li sfidano. Devo essermi distratto, ma confesso che il comunicato vibrante di sdegno per il fatto che dei colleghi finiscono spiati ed intercettati a causa dei loro articoli, m’è proprio sfuggito.
La terza novità la trovo in un pezzo dell’ottimamente informato Luigi Ferrarella, sul Corriere della Sera di sabato scorso. Il giornalista riferisce le parole di Fabio Ghioni, collega di Giuliano Tavaroli e fra i creatori del … non so come definirlo, diciamo centro di ricerche Telecom, rivolte ai magistrati che indagano: “Personalmente mi sono adoperato, su richiesta di Raffaele Savarese di Telecom Italia in Brasile, perché creassi uno storage accessibile solo a determinati utenti sul quale memorizzare documenti che i componenti indipendenti del cda di Brasil Telecom mettono a disposizione di Telecom Italia”. Cosa sia uno storage non lo so di preciso, ma questa roba assomiglia ad un reato. Intanto perché non c’erano consiglieri indipendenti in quel consiglio d’amministrazione, ma rappresentanti di fondi pensione al centro di trame molto discusse, poi perché non è detto per quale ragione, e con quale rispetto della legge, dei membri del cda dovessero passare notizie, evidentemente segrete, ad uno degli azionisti. E’ leggendo quelle parole che ho capito cosa cercavano gli spioni di Telecom facendo i guardoni delle mie cose: volevano sapere se avevo elementi per rivelare una cosa simile.
Nel mio libro, che uscì nel 2004, raccontavo fatti gravissimi, montagne di quattrini che sparivano, intrecci fra Telecom Italia, Parmalat e Cirio, ed erano tutti fatti documentati, che nessuno si è permesso di smentire. In quel libro sono anche descritti i miei rapporti con ciascuno dei protagonisti, anche con Dantas e la sua Opportunity, quindi le insinuazioni sull’essere stato al servizio di questo o di quello le rimando alla fonte analfabeta. Ma Telecom Italia non ha mai risposto, non ha mai replicato, non ha mai spiegato. In campo c’erano gli spioni, interessati a sapere se avevo elementi per raccontare quel che loro stavano facendo, in Brasile ed altrove. Li avessi avuti stiano certi che li avrei pubblicati, ma ero troppo isolato e troppo debole per potere espormi al rischio di scrivere una sola parola non dimostrabile. Adesso, dunque, noi sappiamo che quel che si legge in Razza Corsara è tutto vero, è che c’è di più e di peggio.
Credo sia da escludere che tutta questa faccenda spionistica sia stata montata per servire gli interessi dei tigrotti, mentre le conseguenze saranno comunque assai rilevanti, dato che il tutto sarà utilizzato per ridisegnare la mappa del potere finanziario in Italia. E non è detto ci sia da festeggiare.
29 gennaio 2007
fonte:
http://www.davidegiacalone.it/index.php/economia/i_tigrotti_spioni
Schedato e pedinato
Ora sanno tutto di me
http://aconservativemind.blogspot.com/
Gli spioni di Telecom: no, non l'ho presa bene - di Fausto Carioti
Di tutte le sensazioni che può provare un individuo, poche sono più fastidiose dello scoprire che qualcuno molto grosso e molto potente usa i soldi che gli versi ogni bimestre nella bolletta telefonica, con l’aggiunta di qualche milione di euro, per frugare tra i tuoi documenti e nella tua corrispondenza, allo scopo di impedirti di fare il tuo lavoro e trovare materiale utile per ricattarti. Il sottoscritto il dubbio lo aveva da tempo, e quando è saltato fuori che gli sgherri di Telecom Italia avevano allestito una struttura degna della Spectre per monitorare la vita e le attività di Davide Giacalone, il dubbio era diventato quasi certezza. La conferma definitiva che ha tolto quel «quasi» è arrivata domenica mattina, leggendo l’articolo del bravo Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera. Dall’ottobre 2003 al marzo 2004, come risulta da una relazione della polizia postale, il computer di chi scrive è stato frugato con attenzione, giorno per giorno, dagli hacker al soldo di Telecom. I quali hanno copiato sui loro hard disk tutta la posta elettronica che entrava e usciva dalla mia casella personale, esplorato il contenuto dei miei documenti e memorizzato alcune schermate del mio monitor.
Provo a spiegarmi meglio. Durante quei sei mesi, i signori in questione sono entrati in possesso di ogni dettaglio della mia vita professionale e personale. Sapevano a quali articoli stessi lavorando e cosa scrivevo, con chi mi scambiavo le mail, quali erano i movimenti del mio conto in banca e quale fosse la password per accedervi via Web. Erano al corrente degli acquisti fatti con la mia carta di credito (l’estratto conto mi arriva via mail, come a milioni di italiani). Per arrivare a occuparsi del sottoscritto, devono avere probabilmente seguito i miei spostamenti, sicuramente intercettato le mie telefonate (cosa per loro mille volte più semplice del rovistare nel mio computer). Avessi acquistato su Internet un completo in pelle genere sadomaso, modello Pulp Fiction, lo avrebbero saputo, avrebbero preso l’appunto e aggiunto così un dettaglio interessante al dossier intestato al sottoscritto, per far vedere a chi pagava il loro lavoro che certi incarichi li prendono sul serio. Avessi acquistato on line farmaci dagli Stati Uniti, come fanno molti italiani, se ne sarebbero accorti, e forse avrebbero chiesto a qualche medico una diagnosi su misura per il sottoscritto, tanto per capire se soffrissi o meno di una malattia grave. Avessi avuto un’amante, lo avrebbero saputo, e magari avrebbero trovato il modo di farmi sapere che loro sapevano: fai il bravo, smettila di mettere il naso in faccende che non ti riguardano, e resta tutto tra di noi. Se l’amante fosse stato un uomo, meglio ancora. Può far sorridere, ma è proprio immondizia del genere quella cui erano interessati i solerti spioni pagati con i soldi delle nostre telefonate.
Perché tanto interesse negli affari privati del sottoscritto? Semplicemente perché mi era venuta voglia di vedere chiaro in quel gran casino che Telecom Italia aveva sollevato in Sud America. Il fondo d’investimento Opportunity, socio di maggioranza di Brasil Telecom, sosteneva che il prezzo (800 milioni di dollari) pagato nel luglio del 2000 dalla società per l’acquisizione della Crt, Companhia Riograndense Telecomunicacoes, era stato spinto all’insù, per ragioni tutte da chiarire, da Telecom Italia, all’epoca sotto la gestione di Roberto Colaninno, che di Brasil Telecom era il socio di minoranza. La merchant bank Interamericana, che nell’operazione aveva svolto il ruolo di advisor per conto di Brasil Telecom, in un documento aveva definito una «grande montatura» l’intera trattativa sul prezzo dell’operazione, indicando il giusto valore della Crt, che era stata ceduta dagli spagnoli di Telefónica, in una cifra che «difficilmente avrebbe superato i 450 milioni di dollari».
Come chiunque può intuire, è molto strano che un azionista insista perché una società nella quale ha investito i suoi soldi paghi 350 milioni più del dovuto. Una mossa simile si sarebbe potuta spiegare solo con la volontà di dar vita a un giro di soldi dai contorni poco chiari. Per un giornalista, quindi, cercare di capire cosa stesse succedendo, e scoprire se le accuse di Opportunity fossero fondate, era di fatto un obbligo.
Seguivo la vicenda da qualche anno, e proprio verso la metà del settembre 2003 sembrava si dovesse essere a un punto di svolta. Brasil Telecom, sotto la spinta del suo socio di maggioranza, denunciava apertamente l’operato degli italiani. I parlamentari della coalizione guidata dal presidente Luiz Inacio Lula chiedevano in aula l’apertura di inchieste per mettere sotto la lente gli acquisti fatti negli anni precedenti da Telecom Italia e portare a galla «responsabilità di persone, imprenditori e autorità di governo, così come dei gruppi industriali coinvolti, degli altri enti e degli organismi pubblici». Non bastasse tutto questo, Brasil Telecom e Telecom Italia erano entrate in conflitto anche per la concessione delle licenze di telefonia mobile. Curiosamente (si fa per dire), gli unici in Italia ad essere al corrente di tutto ciò erano i lettori di Libero.
Agli inizi di ottobre, un incontro riservato con Luis Octavio da Motta Veiga, presidente del consiglio d’amministrazione di Brasil Telecom ed ex numero uno della Consob brasiliana, mi confermava la difficilissima situazione che Telecom Italia stava incontrando in Brasile. Fu proprio durante quella riunione in un albergo romano, alla quale partecipò anche Giacalone, che la sensazione di essere spiato diventò fortissima.
Guarda caso, proprio in quei giorni, secondo quando scoperto dagli uomini della polizia postale, entrano in azione gli hacker del Tiger Team. Anche se il nome è da supereroi giapponesi sfigati, si tratta di gente di primissimo livello. I magistrati milanesi che indagano sulla vicenda scrivono che della squadra fanno parte «persone con profili professionali elevatissimi», sebbene - particolare che certo non tranquillizza - in qualche caso «gravate da qualche denuncia o precedente penale». Rocco Lucia, il leader della squadra dei ficcanaso, «doveva rispondere del proprio operato ad Andrea Pompili», coordinatore del team. «Questi dipendeva da Fabio Ghioni», capo della Information Security di Telecom, «il quale a sua volta aveva come referente Giuliano Tavaroli», capo della sicurezza. Gente della Telecom, che lavorava in una sede romana di Telecom usando il meglio della tecnologia Telecom. Ghioni e Lucia sono stati arrestati il 18 gennaio per l’intrusione del 4 novembre 2004 nei computer del Corriere della sera, mentre a Tavaroli è stata notificata in carcere l’ennesima ordinanza di arresto. Aprendo la cassaforte dell’ufficio di Pompili, sono saltati fuori quattro cd-rom, uno dei quali contenente le mail, i documenti e le schermate copiate illegalmente dal computer del sottoscritto.
Per dirla con un vecchio slogan: niente resterà impunito. Pagherete caro, pagherete tutto. L’appuntamento, con gli spioni informatici e i loro mandanti, è in tribunale.