Il Capitano Alessandro Del Piero (149 Viewers)

Tifoso

Sempre e solo Juve
Aug 12, 2005
5,162
Del Piero might be one hell of a football player, but if I got to fuck Scarlett if I said he wasn't I wouldn't hesitate. I'm like Peter in a way I guess.



DID YOU HEAR THAT LOU? :D
Nice :D. I mean, you can always watch a match, but Scarlet is pretty hot.
There are many better, though. :)
 

jumbo

Juve all time top scorer
Nov 7, 2004
308
Some interesting things here:

Gianni Agnelli, the late legendary Juventus owner, viewed it in artistic terms. He compared Baggio to Raphael, the greatest of all Italian masters, while stressing that the young upstart Del Piero was, for now, Pinturicchio, a relatively minor artist who made his name as an apprentice.

A decade later Del Piero has failed to shed the Pinturicchio label.
Del Piero joined Juventus as an 18 year old and was quickly fast-tracked to success, shielded from the media and launched on a rigorous training programme which included plenty of tactical and physical work. In many ways he is a testament to the "scientific" approach of Marcello Lippi's first spell at Juve. His once slight frame filled out, resulting in a stocky powerhouse, with the pace of a sprinter and the stamina of a middle distance runner. He became the epitome of tactical nous, executing instructions perfectly, placing the team first, always and everywhere.
Del Piero represents the former, with all the baggage that it brings. He is the typical Italian professional of the 1990s: ultra-professional, highly trained, tactically sound and, frankly, totally devoid of spontaneity. Coaches love him because he does exactly what he is told to do.
The problem is that, in doing so, he tends to lose both his creative spark and his unpredictability. While his technique is probably as good as any striker's in Europe, he rarely delivers the unexpected, probably because he is mentally shackled after 10 seasons in Juve's football laboratory. Watching him on the pitch brings to mind Eastern European gymnasts of yesteryear: technically brilliant but unsmiling and, frankly, more than a little depressing.
http://www.findarticles.com/p/articles/mi_qn4156/is_20040613/ai_n12589366
 

ReBeL

The Jackal
Jan 14, 2005
22,871
Esce l'autobiografia di Del Piero


A inizio febbraio uscirà «10+», l’autobiografia di Alex Del Piero (edita da Mondadori). Dagli esordi al grave infortunio, dal trionfo dei Mondiali a Calciopoli, il filo conduttore è il numero 10. Ecco uno stralcio del sesto capitolo.

Parlo soprattutto di quei dieci giorni che hanno cambiato la mia vita. C’è stato un momento in cui ero pronto, con le valigie in mano: se rimaneva Capello, io dovevo andare via, perché non esisteva tra me e lui un rapporto tale da motivarmi per un altro anno. Io ci avevo investito, forse leggendo male alcune situazioni, avevo investito su di lui come allenatore, su questa società, sul fatto che comunque mi sentivo bene, ed ero rimasto un secondo anno; però era inevitabile che il terzo, a quelle condizioni, non ci sarebbe stato, né in B né in A.

Non dico che stessi già cercando casa ma, insomma, intimamente avevo già preso una decisione molto dolorosa, che era quella di andare via da Torino. Anzi, di andare all’estero, per rispetto di una idea di me stesso, non solo per rispetto verso i tifosi e la società; avrei cambiato campionato, sì, per cogliere l’opportunità, a quel punto, di fare un’esperienza veramente nuova: cambiare lingua, paese, usi, costumi, e vivere il calcio in maniera diversa. (...)

Non pensavo a una grande squadra, pensavo a una piccola squadra: una piccola squadra con delle ambizioni, in una bella città, con una bella tifoseria, un bello stadio. Una squadra piccola i cui tifosi non avessero nemmeno mai immaginato tutti gli allori dai quali io provenivo. (...)

Considerando poi che io sono juventino da quando ero piccolo, e mentre giocavo le mie prime partite, alla domenica, nelle pause chiedevo sempre cosa stava facendo la Juve - e se vinceva me ne caricavo come se stessi già giocando con quella maglia -, si può capire quanto possa essere attaccato a questi colori. E poi il rapporto con Torino, la città dove sono arrivato a diciotto anni e dove sono diventato un uomo, dove ho comprato la casa e me la sono modellata addosso negli anni, dove stanno gli amici che frequento, la città dove è nata mia moglie; anche quello è un valore enorme, nella carriera di un professionista, perché non sono molti i calciatori che, nel corso di una carriera ad alto livello, abbiano potuto piantare radici profonde come le mie. Avrei perso anche quello. E tuttavia, quella decisione l’avevo presa, il che da solo dice tutto riguardo ai miei rapporti con Capello.

Non si può tornare dove si è già
Lo so, c’è chi sostiene che io dovrei ringraziarlo, Capello, perché utilizzandomi come mi ha utilizzato negli ultimi due anni mi ha permesso di tornare ad alti livelli. Ma io non devo ringraziarlo, perché non è così. Io con lui non sono tornato ad alti livelli, io a quei livelli c’ero anche prima, e non si può tornare dove si è già. E’ questo che non riesce a capire chi dice così. (...)

Quando sposo una causa - e qui la causa era la Juventus -, io penso che giovare a quella causa diventa automaticamente il mio impegno. Quindi sono tenuto, fra l’altro anche come capitano della squadra, a dare qualsiasi segnale positivo per ottenere il massimo da qualsiasi situazione si venga a creare; e se ci sono cose che a me non vanno giù, sono tenuto a regolarmi interiormente per accettarle, di modo che, almeno sino a fine stagione, il mio avversario non sia interno, ma soltanto esterno (...) Criticare pubblicamente le scelte del proprio allenatore, a stagione in corso, non è compatibile con questo mio principio, e perciò non l’ho fatto, né lo farò mai, per quanta fatica mi possa costare.

Achille non ringrazia Agamennone
Ed ecco perché è nata la storia di Achille, tra parentesi. E’ stata una specie di fantasia, di «autoispirazione», con la quale ho cercato di trasformare il mio stato d’animo, da negativo che era, in positivo. Insomma, la metafora è chiara: la guerra alla fine, gli Achei l’hanno vinta, e, malgrado i contrasti con Agamennone, Achille è stato decisivo. Poiché io mi sento, sotto molti aspetti, un solitario, come lo era Achille. Però, alla fine, Achille non ringrazia Agamennone.

E insomma ero lì con le valigie in mano, la scorsa estate, ero veramente pronto a cambiare squadra, e invece poi si è ribaltato tutto: se n’è andato Capello, io ho vinto il Mondiale, e sono rimasto alla Juve - anche in B, anche con la penalizzazione pesante -, e ora sono molto sereno.

Sereno - l’ho sempre detto, e lo ripeterò sempre - ma senza mai smettere un solo istante di sentirmi addosso anche lo scudetto dell’anno scorso, che abbiamo vinto sul campo, nettamente, meritatamente e senza discussioni.

Dopodiché sono state prese delle decisioni e lo scudetto è stato cucito su un’altra maglia; ma io non ho mai smesso di sentirlo mio, e ora che la Juve gioca in serie B lo sento mia ancora di più, perché la retrocessione ha spazzato via da noi ogni ambiguità.

Ora l’ambiguità è sicuramente altrove, e se molti dicono che il mondo del calcio italiano, nonostante i processi e le condanne, non è affatto cambiato ma è rimasto praticamente uguale, bè, io so che di certo non stanno parlando di me, perché noi della Juve siamo i soli per i quali, invece, è cambiato tutto.

Per me, ora, è tutto nuovo, e le differenze non investono solo i dettagli ma la sostanza stessa dello sport che faccio.

E ora sono «dentro»
Sì, sembrerà un paradosso, ma devo dire che questo campionato di serie B è un po’ la situazione perfetta, per me. Rappresenta un ritorno reale, e non solo mentale, al calcio delle origini: allenamenti con continuità senza trasferte infrasettimanali, possibilità di preparare ogni gara con grande cura; una partita a settimana, e di pomeriggio, cioè con la luce naturale (...) In fondo, per me giocare in B significa ritrovare la mia giovinezza, e questo è un grande privilegio (...) Ma soprattutto è fantastico sapere che non mi sveglierò mai da questo sogno, perché è vero, è tutto vero: sono campione del mondo, gioco in serie B con la mia squadra, col mio 10 sulla schiena, e sono dentro.
 

isha00

Senior Member
Jun 24, 2003
5,115
Esce l'autobiografia di Del Piero


A inizio febbraio uscirà «10+», l’autobiografia di Alex Del Piero (edita da Mondadori). Dagli esordi al grave infortunio, dal trionfo dei Mondiali a Calciopoli, il filo conduttore è il numero 10. Ecco uno stralcio del sesto capitolo.

Parlo soprattutto di quei dieci giorni che hanno cambiato la mia vita. C’è stato un momento in cui ero pronto, con le valigie in mano: se rimaneva Capello, io dovevo andare via, perché non esisteva tra me e lui un rapporto tale da motivarmi per un altro anno. Io ci avevo investito, forse leggendo male alcune situazioni, avevo investito su di lui come allenatore, su questa società, sul fatto che comunque mi sentivo bene, ed ero rimasto un secondo anno; però era inevitabile che il terzo, a quelle condizioni, non ci sarebbe stato, né in B né in A.

Non dico che stessi già cercando casa ma, insomma, intimamente avevo già preso una decisione molto dolorosa, che era quella di andare via da Torino. Anzi, di andare all’estero, per rispetto di una idea di me stesso, non solo per rispetto verso i tifosi e la società; avrei cambiato campionato, sì, per cogliere l’opportunità, a quel punto, di fare un’esperienza veramente nuova: cambiare lingua, paese, usi, costumi, e vivere il calcio in maniera diversa. (...)

Non pensavo a una grande squadra, pensavo a una piccola squadra: una piccola squadra con delle ambizioni, in una bella città, con una bella tifoseria, un bello stadio. Una squadra piccola i cui tifosi non avessero nemmeno mai immaginato tutti gli allori dai quali io provenivo. (...)

Considerando poi che io sono juventino da quando ero piccolo, e mentre giocavo le mie prime partite, alla domenica, nelle pause chiedevo sempre cosa stava facendo la Juve - e se vinceva me ne caricavo come se stessi già giocando con quella maglia -, si può capire quanto possa essere attaccato a questi colori. E poi il rapporto con Torino, la città dove sono arrivato a diciotto anni e dove sono diventato un uomo, dove ho comprato la casa e me la sono modellata addosso negli anni, dove stanno gli amici che frequento, la città dove è nata mia moglie; anche quello è un valore enorme, nella carriera di un professionista, perché non sono molti i calciatori che, nel corso di una carriera ad alto livello, abbiano potuto piantare radici profonde come le mie. Avrei perso anche quello. E tuttavia, quella decisione l’avevo presa, il che da solo dice tutto riguardo ai miei rapporti con Capello.

Non si può tornare dove si è già
Lo so, c’è chi sostiene che io dovrei ringraziarlo, Capello, perché utilizzandomi come mi ha utilizzato negli ultimi due anni mi ha permesso di tornare ad alti livelli. Ma io non devo ringraziarlo, perché non è così. Io con lui non sono tornato ad alti livelli, io a quei livelli c’ero anche prima, e non si può tornare dove si è già. E’ questo che non riesce a capire chi dice così. (...)

Quando sposo una causa - e qui la causa era la Juventus -, io penso che giovare a quella causa diventa automaticamente il mio impegno. Quindi sono tenuto, fra l’altro anche come capitano della squadra, a dare qualsiasi segnale positivo per ottenere il massimo da qualsiasi situazione si venga a creare; e se ci sono cose che a me non vanno giù, sono tenuto a regolarmi interiormente per accettarle, di modo che, almeno sino a fine stagione, il mio avversario non sia interno, ma soltanto esterno (...) Criticare pubblicamente le scelte del proprio allenatore, a stagione in corso, non è compatibile con questo mio principio, e perciò non l’ho fatto, né lo farò mai, per quanta fatica mi possa costare.

Achille non ringrazia Agamennone
Ed ecco perché è nata la storia di Achille, tra parentesi. E’ stata una specie di fantasia, di «autoispirazione», con la quale ho cercato di trasformare il mio stato d’animo, da negativo che era, in positivo. Insomma, la metafora è chiara: la guerra alla fine, gli Achei l’hanno vinta, e, malgrado i contrasti con Agamennone, Achille è stato decisivo. Poiché io mi sento, sotto molti aspetti, un solitario, come lo era Achille. Però, alla fine, Achille non ringrazia Agamennone.

E insomma ero lì con le valigie in mano, la scorsa estate, ero veramente pronto a cambiare squadra, e invece poi si è ribaltato tutto: se n’è andato Capello, io ho vinto il Mondiale, e sono rimasto alla Juve - anche in B, anche con la penalizzazione pesante -, e ora sono molto sereno.

Sereno - l’ho sempre detto, e lo ripeterò sempre - ma senza mai smettere un solo istante di sentirmi addosso anche lo scudetto dell’anno scorso, che abbiamo vinto sul campo, nettamente, meritatamente e senza discussioni.

Dopodiché sono state prese delle decisioni e lo scudetto è stato cucito su un’altra maglia; ma io non ho mai smesso di sentirlo mio, e ora che la Juve gioca in serie B lo sento mia ancora di più, perché la retrocessione ha spazzato via da noi ogni ambiguità.

Ora l’ambiguità è sicuramente altrove, e se molti dicono che il mondo del calcio italiano, nonostante i processi e le condanne, non è affatto cambiato ma è rimasto praticamente uguale, bè, io so che di certo non stanno parlando di me, perché noi della Juve siamo i soli per i quali, invece, è cambiato tutto.

Per me, ora, è tutto nuovo, e le differenze non investono solo i dettagli ma la sostanza stessa dello sport che faccio.

E ora sono «dentro»
Sì, sembrerà un paradosso, ma devo dire che questo campionato di serie B è un po’ la situazione perfetta, per me. Rappresenta un ritorno reale, e non solo mentale, al calcio delle origini: allenamenti con continuità senza trasferte infrasettimanali, possibilità di preparare ogni gara con grande cura; una partita a settimana, e di pomeriggio, cioè con la luce naturale (...) In fondo, per me giocare in B significa ritrovare la mia giovinezza, e questo è un grande privilegio (...) Ma soprattutto è fantastico sapere che non mi sveglierò mai da questo sogno, perché è vero, è tutto vero: sono campione del mondo, gioco in serie B con la mia squadra, col mio 10 sulla schiena, e sono dentro.
"I'm talking mostly about those 10 days that changed my life. There has been a moment when I was ready, with my bags already packed: If capello was to stay, I had to go, cause we didn't have such a relationship to motivate me fro another year."

...

"I wasn't thinking about a big club, but about a small club: a small club, but with good aims, in a nice city, with good supporters, in a good stadium. A small club with supporters that never got to dream all the prestige I was coming from."

...

"Also considering that I've been Juventino since I was a little boy and that, when I played my first matches on sunday, in the pauses I always asked what Juventus was doing -and if it was winning it did charge me, like if I was already playing with that shirt-, it's easy to understand how much I'm attached to these colors. And then my relationship with Torino, the city where I arrived when I was 18 and where I became a man, where I bought my house and I shaped it to become my home with the years passing, the city where my friends live, the city where my wife was born; also these are huge values in the career of a professional player, because there aren't many players playing at high levels, that have been able to create roots as deep as mine. I would have lost that too. But I had made my decision and this alone explains everything about my relationship with Capello."

...

I was there with my bags packed, last summer, I was really ready to change club, but then everything changed: Capello left, I won the WC and I remained at Juve -even in B, even with a huge penalization-. and now I'm really serene.

...

"Yeah, it may seem paradoxal, but I have to say that this B championship is a quite perfect situation for me. It represents a return, a real return, not only a mental one, to the origins: being able to train with continuity, without midweek matches, being able to prepare each match very carefully; one match a week, played in the afternoon and this means with natural light (..) For me, playing in B means finding my youth again and I feel this as a real privilege (..) Most of all it's wonderful knowing that I'll never wake up from this dream, because it's real, it's all real: I'm a world champion, I play in B with my team, with my 10 on my back, and I'm in(side)".


[taken form the 6th chapter of «10+», Ale's autobiography, that is going to be published in february :wink: ]
 

Mark

The Informer
Administrator
Dec 19, 2003
96,206
DP lately is trying too much to help the club and is being selfish. I'd give him a little tap, just a gentle one on his hand and play Palladino or Bojinov next game.
 

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