La Juve sposa la linea verde: piccoli bianconeri conquistano Deschamps
De Ceglie, l’altro Nedved
ELVIRA ERBI’
NEL MONDO dei ventenni, piccoli juventini crescono. E di corsa, senza scorciatoie, con tanta applicazione. L’ambizione è incorporata nella maglia che indossano, la serie B risulta passaggio obbligato per la scalata, una porta aperta verso la notorietà: basta oltrepassare l’uscio per vivere un’avventura da grandi. Reduce dall’esperienza con l’Under di Rocca, ecco Paolo De Ceglie che torna a casa. «Ho giocato in Austria, abbiamo perso 4-2, sbagliato un rigore e beccato gol in contropiede. Comunque, sono riuscito a lasciare il segno anch’io, entrando nel tabellino dei marcatori».
Centrocampista con voglia matta di sfondare la rete, dunque.
«Ci provo. Di sicuro è stata una bella esperienza. L’azzurro mi mancava ed è sempre piacevole vestire la casacca della nazionale. Il torneo è quello delle 4 Nazioni con Germania e Svizzera, oltre all’Austria. Forse, in conclusione di annata, ci aspetterà il Mondialito».
Nell’attesa, sotto con la Juve nuovo corso.
«E’ la prima volta che sono incluso nella rosa di prima squadra, anche se negli ultimi anni mi sono spesso allenato con i fratelli maggiori».
Come definisce questa fase della carriera?
«Un punto di partenza».
Che include i colori di sempre.
«Sì, la Juve per me è una priorità, è il massimo per chi sogna di sfondare nel calcio».
Prodotto del vivaio bianconero?
«Decisamente. Sono nato ad Aosta e fino ai quindici anni ho viaggiato regolarmente per venire a Torino, poi ho alloggiato nel pensionato. Adesso, invece, ho messo su casa».
Un vero iter da zebrato.
«Ho compiuto tutta la trafila più classica: dalla scuola calcio alla Primavera con la quale ho conquistato lo scudetto».
Che sensazioni regala stare a contatto con fuoriclasse come Pavel Nedved e Alessandro Del Piero?
«Diciamo che lavorare a fianco di questi campioni costringe a imparare. Loro sono autentici esempi da seguire: un pallone d’oro, uno che ha appena vinto il titolo mondiale».
In particolare, Pavel “furia ceca” la segue con passione.
«Sì: dopo i tre gol all’Inter in Supercoppa mi ha chiamato per farmi i complimenti».
Insomma, sembra un clone del biondo bionico. Intende diventarne l’erede?
«Gioco sulla sinistra, un po’ più aventi come lui o un po’ più indietro, sempre sulla fascia».
Se dovesse dire grazie a qualche allenatore, quali nomi le vengono in mente?
«Maurizio Schincaglia, Gianluigi Gentile, che mi ha allevato, e Vincenzo Chiarenza».
Quanto ha inciso la famiglia nella scelta di dedicarsi completamente al calcio?
«Tanto, soprattutto papà Giulio che è sempre stato nell’ambiente. Mi dilettavo, giovanissimo, ad Aosta. Poi, la Juve mi ha visionato e sottoposto ad alcuni provini: abile e arruolato».
La missione possibile di De Ceglie è...
«Ricavarmi uno spazio in questa Juve; non so come, non so quando, ma voglio combinare qualcosa in prima squadra».
Come ha vissuto le vicende delle intercettazioni e i vari processi sportivi?
«Quando è esploso lo scandalo, noi giovani bianconeri eravamo alle finali Primavera di Rimini. Ebbene, quel marasma ci ha caricato ancora di più, ci ha dato uno stimolo aggiuntivo. E abbiamo trionfato, portando un altro scudetto alla base».
Avete subito una dose maggiore di insulti in giro per l’Italia?
«La Juve è sempre amata od odiata, ma senza esagerazioni ».
John Elkann, dopo aver avviato la svolta societaria, ha parlato subito di linea verde per il club. Un suo parere...
«Sono contento che finalmente si punti sul settore giovanile, sui ragazzi cresciuti qui. Le società hanno capito quanto sia importante lavorare passo passo con i ragazzi, creando campioni che non costano un patrimonio».
L’esempio positivo è rappresentato da Ajax e Arsenal.
«Quello negativo dall’Inter che spesso scende in campo con undici stranieri. Per me il giocatore che viene da fuori deve aiutare la squadra a compiere il salto di qualità, non essere uno qualunque».
Da qualche mese si allena con Deschamps. Che impressione ne ha ricavato finora?
«Il tecnico francese ha creato un ottimo ambiente. In una situazione non facile, si è distinto per grandi capacità. C’erano stelle che si trovavano improvvisamente in serie B, e non era certo il massimo per loro. Eppure, il mister è riuscito a infondere serenità. E, inoltre, coinvolge tutti nel progetto, nessuno escluso. Molti big finiscono in panchina, però poi l’occasione passa e la puoi cogliere».
Trezeguet e Camoranesi rappresentavano un problema?
«Macché, sono sempre stati tranquilli, dando un apporto fondamentale al gruppo. E avere vicino gli eroi di Berlino ti dà una mano a crescere. Io e Marchisio siamo quasi due gemelli: dopo la scalata interna, magari esploderemo insieme».
Gli hobby di un giovane bianconero?
«La musica: suono la chitarra, da autodidatta».
Ancora chino sui libri?
«Vado all’università, studio scienze motorie».
E in privato?
«Sono fidanzatissimo, con Alice, anche lei aostana. In definitiva, De Ceglie è un tipo tranquillo». Tutto casa e campo, sulla scia di Nedved.
tuttosport
De Ceglie, l’altro Nedved
ELVIRA ERBI’
NEL MONDO dei ventenni, piccoli juventini crescono. E di corsa, senza scorciatoie, con tanta applicazione. L’ambizione è incorporata nella maglia che indossano, la serie B risulta passaggio obbligato per la scalata, una porta aperta verso la notorietà: basta oltrepassare l’uscio per vivere un’avventura da grandi. Reduce dall’esperienza con l’Under di Rocca, ecco Paolo De Ceglie che torna a casa. «Ho giocato in Austria, abbiamo perso 4-2, sbagliato un rigore e beccato gol in contropiede. Comunque, sono riuscito a lasciare il segno anch’io, entrando nel tabellino dei marcatori».
Centrocampista con voglia matta di sfondare la rete, dunque.
«Ci provo. Di sicuro è stata una bella esperienza. L’azzurro mi mancava ed è sempre piacevole vestire la casacca della nazionale. Il torneo è quello delle 4 Nazioni con Germania e Svizzera, oltre all’Austria. Forse, in conclusione di annata, ci aspetterà il Mondialito».
Nell’attesa, sotto con la Juve nuovo corso.
«E’ la prima volta che sono incluso nella rosa di prima squadra, anche se negli ultimi anni mi sono spesso allenato con i fratelli maggiori».
Come definisce questa fase della carriera?
«Un punto di partenza».
Che include i colori di sempre.
«Sì, la Juve per me è una priorità, è il massimo per chi sogna di sfondare nel calcio».
Prodotto del vivaio bianconero?
«Decisamente. Sono nato ad Aosta e fino ai quindici anni ho viaggiato regolarmente per venire a Torino, poi ho alloggiato nel pensionato. Adesso, invece, ho messo su casa».
Un vero iter da zebrato.
«Ho compiuto tutta la trafila più classica: dalla scuola calcio alla Primavera con la quale ho conquistato lo scudetto».
Che sensazioni regala stare a contatto con fuoriclasse come Pavel Nedved e Alessandro Del Piero?
«Diciamo che lavorare a fianco di questi campioni costringe a imparare. Loro sono autentici esempi da seguire: un pallone d’oro, uno che ha appena vinto il titolo mondiale».
In particolare, Pavel “furia ceca” la segue con passione.
«Sì: dopo i tre gol all’Inter in Supercoppa mi ha chiamato per farmi i complimenti».
Insomma, sembra un clone del biondo bionico. Intende diventarne l’erede?
«Gioco sulla sinistra, un po’ più aventi come lui o un po’ più indietro, sempre sulla fascia».
Se dovesse dire grazie a qualche allenatore, quali nomi le vengono in mente?
«Maurizio Schincaglia, Gianluigi Gentile, che mi ha allevato, e Vincenzo Chiarenza».
Quanto ha inciso la famiglia nella scelta di dedicarsi completamente al calcio?
«Tanto, soprattutto papà Giulio che è sempre stato nell’ambiente. Mi dilettavo, giovanissimo, ad Aosta. Poi, la Juve mi ha visionato e sottoposto ad alcuni provini: abile e arruolato».
La missione possibile di De Ceglie è...
«Ricavarmi uno spazio in questa Juve; non so come, non so quando, ma voglio combinare qualcosa in prima squadra».
Come ha vissuto le vicende delle intercettazioni e i vari processi sportivi?
«Quando è esploso lo scandalo, noi giovani bianconeri eravamo alle finali Primavera di Rimini. Ebbene, quel marasma ci ha caricato ancora di più, ci ha dato uno stimolo aggiuntivo. E abbiamo trionfato, portando un altro scudetto alla base».
Avete subito una dose maggiore di insulti in giro per l’Italia?
«La Juve è sempre amata od odiata, ma senza esagerazioni ».
John Elkann, dopo aver avviato la svolta societaria, ha parlato subito di linea verde per il club. Un suo parere...
«Sono contento che finalmente si punti sul settore giovanile, sui ragazzi cresciuti qui. Le società hanno capito quanto sia importante lavorare passo passo con i ragazzi, creando campioni che non costano un patrimonio».
L’esempio positivo è rappresentato da Ajax e Arsenal.
«Quello negativo dall’Inter che spesso scende in campo con undici stranieri. Per me il giocatore che viene da fuori deve aiutare la squadra a compiere il salto di qualità, non essere uno qualunque».
Da qualche mese si allena con Deschamps. Che impressione ne ha ricavato finora?
«Il tecnico francese ha creato un ottimo ambiente. In una situazione non facile, si è distinto per grandi capacità. C’erano stelle che si trovavano improvvisamente in serie B, e non era certo il massimo per loro. Eppure, il mister è riuscito a infondere serenità. E, inoltre, coinvolge tutti nel progetto, nessuno escluso. Molti big finiscono in panchina, però poi l’occasione passa e la puoi cogliere».
Trezeguet e Camoranesi rappresentavano un problema?
«Macché, sono sempre stati tranquilli, dando un apporto fondamentale al gruppo. E avere vicino gli eroi di Berlino ti dà una mano a crescere. Io e Marchisio siamo quasi due gemelli: dopo la scalata interna, magari esploderemo insieme».
Gli hobby di un giovane bianconero?
«La musica: suono la chitarra, da autodidatta».
Ancora chino sui libri?
«Vado all’università, studio scienze motorie».
E in privato?
«Sono fidanzatissimo, con Alice, anche lei aostana. In definitiva, De Ceglie è un tipo tranquillo». Tutto casa e campo, sulla scia di Nedved.
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