Interview (In italian, i'll translate it after my exam.. but, if the meanwhile someone wants to do it ... :wink: )
Del Piero
«Qui alla Juve ho solo un rimpianto
Aver giocato 13 anni al Delle Alpi»
Intervista di Andrea Malaguti
TORINO. Il contesto. Torino, pieno centro, una piazzetta elegante, molto elegante, l’ufficio dei Miakawa, che poi sarebbero i suoi procuratori. Ufficio mansardato, travi a vista e un chiaro senso di benessere. Alessandro Del Piero ha un maglioncino azzurro, un filo di barba e un piccolo dolore alla coscia che prova a nascondere. Salta la Roma? Possibile. Se si dovesse usare una parola sola per descriverlo, la parola sarebbe prudente. Ma anche sottile. Dà sempre l'impressione di essere un po’ più in là di dove lo stai cercando. Sono le cinque del pomeriggio.
«È come se io giocassi con le scarpe da tennis»
Scusi?
«Il Delle Alpi. Un disastro. Il mio vero rimpianto in questi 13 anni di Juve è lo stadio. È pensato per tutto, tranne che per il pallone. Era vecchio già 18 anni fa, quando è stato progettato».
Che c’entrano le scarpe da tennis?
«Il campo è parte integrante del gioco. Se non è adatto fai peggio il tuo lavoro. Perché a Livorno abbiamo giocato bene?».
Il campo.
«Esatto. Di stadi belli in Italia ce ne sono tre, quattro. Pochi, insomma. Firenze, un po’ l’Olimpico. Poi c’era Bologna prima che la squadra retrocedesse».
Per questo i tifosi non vengono al Delle Alpi?
«Anche per questo».
Per cos’altro?
«Torino».
I torinesi?
«No, Torino. Chiarisco. Città splendida, però fuori traiettoria. A Milano ci si arriva in un attimo. Qui ci vogliono sei ore. Parti dal Veneto? Sei ore. Dall’Emilia? Una vita. Roba che pesa. A Milano faremmo anche noi 70 mila spettatori».
Rosica?
«Analizzo».
Analizziamo anche la conferma della triade?
«L’ho letto sul vostro giornale».
E?
«Niente. La verità è semplice: l’argomento non è mai entrato nello spogliatoio. E non entrerà».
Giraudo e Moggi avevano più mercato di voi. Fa impressione, no?
«E perché? Ruoli e obiettivi di ciascuno sono sempre rimasti gli stessi».
Resta anche Capello.
«...»
Ne parliamo?
«Non ne ho molta voglia. Tanto poi lo so dove si arriva».
Vi siete mai chiariti faccia a faccia?
«Sì. Più di una volta. Ma mica solo con lui. Mi è successo anche con altri allenatori. Dinamiche normali».
Che cosa vi siete detti?
«Secondo lei glielo dico?».
No?
«No. In ogni caso niente di particolare».
Perché non ne parla?
«Perché non è il momento, ma soprattutto perché io ho da sempre chiara in testa una cosa: il bene primario è la Juventus. Non vedo perché dovrei portare all’esterno le mie beghe. Per me conta il gruppo. I rapporti con le persone sono importanti, ma non è che uno possa dare di più o di meno a seconda del legame con chi ha di fronte. Io do sempre il massimo».
Rimane la prossima stagione?
«E’ presto per parlarne»
Era più facile dire sì. O anche no.
«Tendo a essere concentrato su quello che sto facendo. In più ci sono dei contratti».
Quanti anni conta di giocare, ancora?
«Quanti anni ho?»
Trentadue.
«Trentuno. Trentadue a novembre. Ho ancora un sacco di voglia. Sei anni vado avanti».
Tutti alla Juve?
«Chi lo sa».
Si vede con la maglia della Samp? O della Fiorentina?
«No, ma con quella dei Los Angeles Galaxy sì. Nella vita si devono fare delle scelte».
Roma o Arsenal?
«Cioè?».
Se deve scegliere una partita quale gioca?
«Quella con l’Arsenal».
Il peggiore degli ultimi dieci anni.
«Fesseria. C’è Henry, c’è Reyes, ci sono un sacco di giovani interessanti. Da tre mesi passano sopra a tutti. E poi io ho vinto la Champions a 19 anni. Non che glielo auguri, ma il parametro degli anni non è decisivo».
Perché Henry fallì alla Juventus?
«Era inesperto, voleva giocare e se anche ci sono degli altri motivi io non li dico».
Lo sa che ascolta i 50 Cents prima di scendere in campo?
«Qualche volta anch’io, dipende dallo stato d’animo. In genere al rap preferisco il rock. Non mi metto le cuffie per stordirmi, ma per entrare in un mondo».
Il clic di Rocca prima di uno slalom.
«No, una cosa diversa. Lo sci è più simile all’atletica. Devi stare concentrato due minuti. Io devo stare lì con la testa per novanta. E’ un tempo lungo, in cui vedi tutto».
Cioè?
«Gli striscioni, le facce, senti i cori. Se ti isoli è meglio, ma il calcio è fatto di pause e in quelle pause cìè un mondo intero che ti attraversa la testa».
Tipo gli insulti di Ascoli?
«Sono dieci anni che lì prendo dei nomi. Mezza Italia mi dice che non sto in piedi. I numeri dicono il contrario. Ma io non mi spavento. L’idea che ho di me non dipende da quello che dicono gli altri».
Non la feriscono più?
«Non dico questo. Dico che so mediare, che credo in me anche se non mi metto a raccontarlo».
Ci dice tre giocatori per cui pagherebbe il biglietto?
«Henry, fenomenale. Poi Ronaldinho e Messi. Aggiungo Kakà».
Vinto lo scudetto, l’Europa vi fa paura.
«L’Europa emette sentenze rapide, tutto qui. Ma quest’anno almeno un’italiana va in finale. E lo scudetto non è già vinto. Quasi».
Perché non fa più gol alla Del Piero?
«E’ falso. Il problema è che ne feci cinque di fila e che gli altri li ho diluiti».
Anche Ibra diluisce moltissimo il gol.
«Ibra ha tutto. Fisico, tecnica, furore agonistico. Farà anche gol».
Farà.
«Di sicuro. In ogni caso il suo ruolo è diverso. Come il mio. Per il gol c’è Trezeguet».
Il più grande centravanti della sua Juve?
«Vialli. Aveva tutto. Forza, tecnica, carisma. Un punto di riferimento. Non a caso era il capitano».
Anche lei è il capitano.
«Ma io di me non parlo».
Perché i calciatori non parlano mai di politica?
«Perché il calcio amplifica tutto»
Lei per chi vota il nove aprile?
«Voto. Ma non ho deciso. E se anche avessi deciso eccetera eccetera».
Ha sentito Capello? Franco in Spagna almeno ha portato l’ordine.
«Mi sembra quella vecchia barzelletta su Hitler: a qualcuno avrà pur dato la mano anche lui».