Il capitano della Juve ha partecipato alla partita di solidarietà per le vittime dello tsunami. Diario di una giornata lontano dai soliti problemi.
BARCELLONA, 16 febbraio 2004 - Bisogna sorridere di più, ha detto Lapo Elkann, e Alessandro Del Piero, che pure in questo periodo avrebbe assai poco da ridere, lo prende in parola. Entra nella hall affollata dell’Hilton (campioni, giornalisti, tifosi, turisti, tutti centrifugati in pochi metri) dopo essere arrivato direttamente da Torino insieme a Thuram e Montero — la Fifa aveva chiesto un aereo unico da Milano, ma gli juventini hanno preferito partire da casa loro — si piazza davanti all’immancabile cartellone con loghi-simboli-sponsor dell’evento e fa subito un po’ di cabaret. «Giocherò contro il mio compagno Montero ma ci sono abituato. In partitella siamo sempre contro, lui dà un sacco di botte e così mi abituo ai calci». I presenti forse non apprezzano pienamente lo sforzo umoristico di Del Piero perché:a) non sanno praticamente niente della polemichetta Elkann-Giraudo («meglio vincere o sorridere?»); b) non sanno che Del Piero potrebbe starsene giustamente immusonito nel suo metaforico angolo e pretendere di non essere scocciato con richieste di positive thinking.
Invece Del Piero più di uno sforzo lo fa: certo, non ciondola nella hall come altri suoi colleghi meno conosciuti, ma non si tira indietro se c’è da parlare della partita del Camp Nou e della causa che lo ha portato qui insieme a tante star del calcio mondiale. Perché Del Piero è una star del calcio mondiale: chiedere a qualsiasi suo collega o a qualsiasi giornalista non italiano per credere. «Ci sentiamo spesso, anche se in questi giorni non è successo. Ma con Del Piero e Montero i contatti sono costanti», ha spiegato Zidane al Marca. In Spagna, in Europa, Del Piero è il capitano della potente Juve e l’uomo simbolo della nazionale italiana; un simbolo che spesso è stato messo in discussione, d’accordo, ma non è che a Raul sia andata molto meglio. Del Piero è un membro dell’aristocrazia del calcio e se glielo ricordano magari recupera davvero i sorrisi che piacciono a Elkann.
Intanto i cronisti italiani guatano la folla inquieti e qualche temerario vorrebbe addirittura fargli una battuta, giacché siamo in clima adatto. «Magari provo a dirgli: vedi che Lippi per queste cose ti convoca?». Occhiatacce degli altri. «Vuoi farlo scappare subito?». Così, quando ricompare nella hall dopo il veloce riposino, Del Piero si trova davanti un gruppetto di interlocutori compostissimi: «Possiamo farti una domanda, Ale?»; «Ci dici qualcosa della partita, Ale?». Lui si piazza docilmente davanti a un microfono e a un paio di taccuini. «La cosa importante è parlare della causa che ci ha portati qui: non è vero che sia difficile raccogliere tanti campioni se c’è una buona causa. Quando il motivo è valido, non ci sono impegni che tengano, basta trovare la data giusta e nonostante i tanti impegni ci presentiamo tutti». Henry, per fare un nome, ha voluto partecipare nonostante abbia giocato l’altro ieri sera, e infatti i giornali catalani lo davano per assente giustificato: invece è qui a parlare di tsunami, beneficenza, solidarietà, lotta al razzismo. Del Piero si associa. «Il razzismo è da stupidi. Trovo stupido qualsiasi giudizio che parte dal colore della pelle, dalla regione di appartenenza, qualsiasi forma di razzismo insomma. E noi giocatori la pensiamo tutti allo stesso modo».
Calciatori sempre presenti per una buona causa, ma forse al Camp Nou ci sarà poca partecipazione di pubblico rispetto a quello che una simile parata di stelle avrebbe richiamato nello sport americano, gli fanno notare. E ci scappa il paragone sulle culture. «Ah, di cultura dello spettacolo potremmo parlare a lungo...», fa Del Piero. Aveva cominciato dicendo: «E’ bello giocare per cercare di dare un po’ di serenità a chi ha subito dei danni, pensare di poter portare un sorriso». Almeno in questo caso, nessuno troverà niente da ridire.
Could someone please translate the entire article for me? I understand most things, but not everything I need to understand.
BARCELLONA, 16 febbraio 2004 - Bisogna sorridere di più, ha detto Lapo Elkann, e Alessandro Del Piero, che pure in questo periodo avrebbe assai poco da ridere, lo prende in parola. Entra nella hall affollata dell’Hilton (campioni, giornalisti, tifosi, turisti, tutti centrifugati in pochi metri) dopo essere arrivato direttamente da Torino insieme a Thuram e Montero — la Fifa aveva chiesto un aereo unico da Milano, ma gli juventini hanno preferito partire da casa loro — si piazza davanti all’immancabile cartellone con loghi-simboli-sponsor dell’evento e fa subito un po’ di cabaret. «Giocherò contro il mio compagno Montero ma ci sono abituato. In partitella siamo sempre contro, lui dà un sacco di botte e così mi abituo ai calci». I presenti forse non apprezzano pienamente lo sforzo umoristico di Del Piero perché:a) non sanno praticamente niente della polemichetta Elkann-Giraudo («meglio vincere o sorridere?»); b) non sanno che Del Piero potrebbe starsene giustamente immusonito nel suo metaforico angolo e pretendere di non essere scocciato con richieste di positive thinking.
Invece Del Piero più di uno sforzo lo fa: certo, non ciondola nella hall come altri suoi colleghi meno conosciuti, ma non si tira indietro se c’è da parlare della partita del Camp Nou e della causa che lo ha portato qui insieme a tante star del calcio mondiale. Perché Del Piero è una star del calcio mondiale: chiedere a qualsiasi suo collega o a qualsiasi giornalista non italiano per credere. «Ci sentiamo spesso, anche se in questi giorni non è successo. Ma con Del Piero e Montero i contatti sono costanti», ha spiegato Zidane al Marca. In Spagna, in Europa, Del Piero è il capitano della potente Juve e l’uomo simbolo della nazionale italiana; un simbolo che spesso è stato messo in discussione, d’accordo, ma non è che a Raul sia andata molto meglio. Del Piero è un membro dell’aristocrazia del calcio e se glielo ricordano magari recupera davvero i sorrisi che piacciono a Elkann.
Intanto i cronisti italiani guatano la folla inquieti e qualche temerario vorrebbe addirittura fargli una battuta, giacché siamo in clima adatto. «Magari provo a dirgli: vedi che Lippi per queste cose ti convoca?». Occhiatacce degli altri. «Vuoi farlo scappare subito?». Così, quando ricompare nella hall dopo il veloce riposino, Del Piero si trova davanti un gruppetto di interlocutori compostissimi: «Possiamo farti una domanda, Ale?»; «Ci dici qualcosa della partita, Ale?». Lui si piazza docilmente davanti a un microfono e a un paio di taccuini. «La cosa importante è parlare della causa che ci ha portati qui: non è vero che sia difficile raccogliere tanti campioni se c’è una buona causa. Quando il motivo è valido, non ci sono impegni che tengano, basta trovare la data giusta e nonostante i tanti impegni ci presentiamo tutti». Henry, per fare un nome, ha voluto partecipare nonostante abbia giocato l’altro ieri sera, e infatti i giornali catalani lo davano per assente giustificato: invece è qui a parlare di tsunami, beneficenza, solidarietà, lotta al razzismo. Del Piero si associa. «Il razzismo è da stupidi. Trovo stupido qualsiasi giudizio che parte dal colore della pelle, dalla regione di appartenenza, qualsiasi forma di razzismo insomma. E noi giocatori la pensiamo tutti allo stesso modo».
Calciatori sempre presenti per una buona causa, ma forse al Camp Nou ci sarà poca partecipazione di pubblico rispetto a quello che una simile parata di stelle avrebbe richiamato nello sport americano, gli fanno notare. E ci scappa il paragone sulle culture. «Ah, di cultura dello spettacolo potremmo parlare a lungo...», fa Del Piero. Aveva cominciato dicendo: «E’ bello giocare per cercare di dare un po’ di serenità a chi ha subito dei danni, pensare di poter portare un sorriso». Almeno in questo caso, nessuno troverà niente da ridire.
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